Combattere l’Isil per coprire la mobilitazione degli Stati Uniti contro la Siria e l’Iran

La minaccia dell’Isil è una scusa. La forza dell’Isil è stata gonfiata di proposito per ottenere il sostegno pubblico per il Pentagono e per giustificare il bombardamento illegale della Siria. Essa è stata anche utilizzata per giustificare la mobilitazione che appare sempre più come un crescendo militare di larga scala guidato dagli Usa in Medio Oriente. Le armi e le risorse militari spiegate superano ciò che basterebbe a combattere soltanto le squadre della morte dell’Isil.

Anche se gli Stati Uniti hanno rassicurato i propri cittadini e il mondo sul fatto di non voler inviare truppe di terra, ciò è alquanto improbabile. In primo luogo perché i piedi sul territorio sono necessari per monitorare e selezionare i bersagli, e poi perché Washington prevede che la campagna contro l’Isil potrebbe durare anni. E’ un discorso subdolo. Ciò che viene descritto è uno spiegamento militare permanente, o, nel caso dell’Iraq, un secondo spiegamento. Questa forza potrebbe infine trasformarsi in un’ampia forza di assalto minacciosa per la Siria, l’Iran e il Libano.

Dialoghi sulla sicurezza Usa-Siria e Usa-Iran

Prima che i bombardamenti guidati dagli Stati Uniti in Siria iniziassero, circolavano voci non verificate su un inizio di dialoghi tra Washington e Damasco, per mezzo di canali russi e iraniani, al fine di discutere il coordinamento militare e la campagna di bombardamenti del Pentagono in Siria. Ma c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Gli agenti del disordine erano all’opera per cercare di legittimare il bombardamento della Repubblica araba siriana.

La pretesa affermazione di cooperazione Usa-Siria tramite canali russi e iraniani fa parte di una sinistra serie di disinformazione e di cattive informazioni. Prima di tali affermazioni ne vennero fatte di simili riguardo una collaborazione Usa-Iran in Iraq.

Prima ancora, Washington e i media statunitensi hanno provato a dare l’impressione che si fosse raggiunto un accordo di cooperazione militare con Teheran per combattere l’Isil e per collaborare in Iraq. Ciò venne duramente smentito da numerosi membri dell’establishment politico e dagli alti gradi delle gerarchie militari iraniane.

Dopo che gli iraniani hanno indicato la natura fittizia di tali affermazioni di Washington, gli Usa hanno espresso disapprovazione riguardo la partecipazione iraniana alla coalizione anti-Isil. L’Iran ha risposto sottolineando la disonestà di Washington nel presentare i fatti, in quanto funzionari statunitensi avevano in varie occasioni richiesto a Teheran di unirsi alla colaizione anti-Isil.

Prima di essere dimesso dall’ospedale in seguito a un intervento alla prostata, l’ayatollah ‘Ali Khamenei, il funzionario di maggior livello in Iran, disse alla televisione iraniana, il 9 settembre 2014, che gli Usa avevano richiesto in tre diverse occasioni la collaborazione di Teheran in territorio iracheno. Egli raccontò che l’ambasciatore statunitense in Iraq aveva trasmesso un messaggio all’ambasciatore iraniano in Iraq, chiedendogli di unirsi agli Stati Uniti: «Il medesimo John Kerry – che aveva detto davanti alle telecamere e davanti al mondo intero di non desiderare la collaborazione iraniana – chiese al dott. Zarif la collaborazione iraniana su questa questione, ma egli rifiutò». La terza richiesta venne presentata dal sottosegretario Usa Wendy Sherman al vice ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi.

Khamenei chiarì, inoltre, di aver categoricamente escluso qualsiasi collaborazione con Washington su tale argomento. «Su questo non collaboreremo con l’America, soprattutto perché le sue mani sono sporche», egli affermò pubblicamente, spiegando le cattive intenzioni di Washington e i suoi disegni nefasti sull’Iraq e sulla Siria.

Come la Russia, l’Iran ha aiutato la Siria e l’Iraq contro l’Isil. E come Mosca, Teheran è impegnata a combatterlo, ma non si unirà alla coalizione anti-Isil di Washington.

Nuove invasioni e progetti di cambio di regime di prossima realizzazione

Come segnalato il 20 giugno 2014, agli occhi di Washington il governo federale di Baghdad di Nouri Al-Maliki andava rimosso, per il rifiuto espresso nell’unirsi all’assedio statunitense contro i siriani, per l’allineamento con l’Iran, per la vendita di petrolio alla Cina e per l’acquisto di armamenti dalla federazione russa. La decisione dell’Iraq di far parte di un gasdotto via Iran-Iraq-Siria ha inoltre minato gli obiettivi degli Stati Uniti e dei suoi alleati di controllare il flusso di energia in Medio Oriente, e di ostacolare l’integrazione euroasiatica [1].

Ci sono stati poi due peccati cardinali imperdonabili commessi dal governo di Al-Maliki a Baghdad, agli occhi di Washington. Queste offese andrebbero poste innanzitutto in un contesto geopolitico.

Ricordate lo slogan post 11 settembre dell’Amministrazione Bush 2, all’inizio delle sue guerre seriali? Recitava così: «Chiunque può andare a Baghdad, ma gli uomini veri vanno a Teheran!» Il senso di questo slogan guerrafondaio sta nel fatto che Baghdad e Damasco sono considerati dal Pentagono come sentieri che portano a Teheran [2].

Il peccato cardinale di Al-Maliki, e della Siria, è collegato al blocco della via verso Teheran. Primo, il governo iracheno ha sfrattato il Pentagono dall’Iraq alla fine del 2011, causando l’abbandono delle truppe Usa delle posizioni lungo il confine occidentale con l’Iran. Secondo, il governo federale iracheno lavorava per l’espulsione dei militanti anti-governativi iraniani dall’Iraq, e per chiudere Camp Ashraf, che potrebbe essere usato in una guerra di operazioni di cambio di regime contro l’Iran.

Ashraf era la base per l’ala militare dei Mujahidin-e-Khalq di base in Iraq (Mek). Il Mek è un’organizzazione anti-governativa iraniana favorevole al cambio di regime a Teheran. Essa ha anche appoggiato apertamente attacchi statunitensi all’Iran e alla Siria.

Sebbene il governo Usa consideri il Mek un’organizzazione terroristica, Washington approfondì i suoi rapporti con il Mek quando, con l’alleato britannico, invase l’Iraq. Ironicamente e provocatoriamente, Usa e Gran Bretagna usarono l’appoggio di Saddam Hussein al Mek per giustificare la definizione dell’Iraq come Stato sponsor del terrorismo, e per giustificare l’invasione anglo-americana dell’Iraq. Da allora gli Stati Uniti hanno appoggiato il Mek.

Dal 2003 gli Usa hanno finanziato il Mek, per tenerlo al guinzaglio sia in chiave anti-iraniana che per poter un giorno installarlo al potere a Teheran come parte di un’operazione di cambio di regime contro l’iran. Il Mek è letteralmente divenuto parte degli strumenti del Pentagono e della Cia contro Teheran. Anche quando gli Usa trasferirono il controllo del campo Ashraf a Teheran, il Pentagono mantenne delle forze all’interno del campo del Mek.

Alla fine le forze del Mek, dal 2012, vennero ricollocate nella ex-base Usa di Camp Liberty, ora chiamata con un nome arabo, Camp Hurriya.
Scott Peterson, il capo dell’ufficio di Istanbul del Christian Science Monitor, ha descritto come i funzionari statunitensi iniziarono a premere sul Mek all’inizio della Primavera araba, nel 2011. Ciò è connesso con le mire di regime change di Washington. Peterson ha scritto che i funzionari Usa «raramente nominano il passato violento e antiamericano del Mek, e non descrivono il gruppo come terrorista ma come di combattenti per la libertà con dei valori ‘come i nostri’, come dei democratici in attesa, pronti a servire come avanguardia nel cambio di regime in Iran» [3].

Washington non ha abbandonato i sogni di regime change in Iran

I sogni di cambiamento di regime per l’Iran non sono finiti. E’ una coincidenza che l’appoggio europeo e statunitense al Mek sia aumentato, soprattutto da quando la minaccia dell’Isil in Iraq cominciava ad essere pubblicamente osservata?

Il 27 giugno 2014, 600 parlamentari e politici, in gran parte di Paesi Nato, si sono riuniti a Villepinte, a nord-est di Parigi, per discutere il cambio di regime in Iran.Guerrafondai e personaggi in bancarotta morale come l’ex-senatore Usa Joseph Lieberman, il portavoce e apologeta di Israele, Alan Dershowhitz, l’opinionista della Fox, nonché ex-funzionario dell’amministrazione Bush 2, John Bolton, l’ex-sindaco di New York, Rudolph Giuliani e l’ex-ministro francese e capo ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo, Bernard Kouchner, hanno incontrato il Mek per promuovere il cambio di regime e la guerra. Secondo il Mek, oltre 80 mila persone hanno partecipato al corteo per il regime change. Sostenitori delle insurrezioni in Siria e in Iraq erano anch’essi presenti a Villepinte, a chiedere il cambio di regime in Iraq, Siria e Iran.

L’ironia sta nel fatto che il denaro proveniva dallo stesso governo degli Stati Uniti o dei suoi alleati, ed è andato alle iniziative della lobby del Mek e del Congresso e del Dipartimento di Stato Usa, che in realtà ricicla il denaro. Persone come Rudy Giuliani – probabilmente il sindaco di New York più odiato, colui che approfittò dei tragici fatti dell’11 settembre – sono ora di fatto lobbisti del Mek. Secondo il Christian Science Monitor, «molti di questi ex-funzionari Usa di alto livello – che rappresentano l’intero spettro politico – sono stati pagati decine di migliaia di dollari per parlare a favore del Mek» [4].

Giuliani ha parlato a incontri del Mek almeno dal 2010, e nel 2011 egli pubblicamente propose il cambio di regime a Teheran e a Damasco durante incontri del Mek. Egli disse, retoricamente: «Che ne dite di far seguire alla Primavera araba un’Estate persiana?» [5]. L’affermazione seguente di Giuliani rivela quanto l’iniziativa di supporto al Mek sia figlia della politica estera americana: «Abbiamo bisogno di un cambio di regime in Iran più di quanto ne abbiamo bisogno in Egitto o in Libia, e tanto quanto in Siria» [6].

L’amico e sostenitore della guerra di Joseph Lieberman, il senatore John McCain, non ce la fece a presenziare a Villepinte, ma si unì alla riunione in teleconferenza. Anche il membro del Congresso Edward Royce Hello, a capo del Comitato per gli Affari esteri Usa, dimostrò il proprio appoggio al “regime change” in Iran tramite un intervento video, e così fecero il senatore Carl Levin e il senatore Robert Menendez.

 

Ampie delegazioni di Stati Uniti, Francia, Spagna, Canada e Albania erano inoltre presenti. Oltre ai personaggi sopra citati, altri noti personaggi statunitensi hanno partecipato all’evento:

1. Newt Gingrich;
2. John Dennis Hastert;
3. George William Casey Jr.;
4. Hugh Shelton;
5. James Conway;
6. Louis Freeh;
7. Lloyd Poe;
8. Daniel Davis;
9. Loretta Sánchez;
10. Michael B. Mukasey;
11. Howard Dean;
12. William Richardson;
13. Robert Torricelli;
14. Francis Townsend;
15. Linda Chavez;
16. Robert Joseph;
17. Philip Crowley;
18. David Phillips;
19. Marc Ginsberg.

La presenza francese, come quella statunitense, comprendeva dei funzionari. Coloro che seguono sono i partecipanti che si sono uniti a Bernard Kouchner:

1. Michèle Alliot-Marie;
2. Rama Yade;
3. Gilbert Mitterrand;
4. Martin Vallton.

Ospiti spagnoli incluse le seguenti persone:

1. Pedro Agramunt Font de Mora;
2. Jordi Xucla;
3. Alejo Vidal-Quadras;
4. José Luis Rodriguez Zapatero;
5. Sonsoles Espinosa Díaz.

Altri ospiti includevano le seguenti persone:

1. Pandli Majko;
2. Kim Campbell;
3. Geir Haarde;
4. Ingrid Betancourt;
5. Alexander Carile;
6. Giulio Maria Terzi;
7. Adrianus Melkert.

Non si è parlato solo di cambiamento di regime: altro argomento-chiave è stata la crisi dei confini in Iraq e in Siria. La Fox news ha dato all’evento un’ampia copertura mediatica. Proprio a luglio la leadership del Mek aveva condannato l’appoggio iraniano al governo federale iracheno nella sua lotta contro l’Isil, ma da quando anche gli Usa hanno cominciato a combattere l’Isil, ha frenato la lingua.

Prima dell’incontro sul cambio di regime, il leader del Mek, Maryam Rajavi – indicato dal Mek come presidente dell’Iran fin dal 1993 – si era incontrato il 23 maggio 2014 con il leader-fantoccio del Consiglio nazionale siriano, Ahmed Jarba, a Parigi, per discutere di collaborazione.

Cambio di regime a Damasco per mezzo di infiltrati in Siria

La campagna di bombardamenti iniziata dagli Usa in Siria è illegale, e viola l’atto costitutivo dell’Onu. Per questo il Pentagono ha dichiarato che i bombardamenti guidati dagli Stati Uniti sono necessari a causa della minaccia di attacchi «imminenti» pianificati su territorio Usa. Una tale dichiarazione è stata fatta per dare copertura legale ai bombardamenti del territorio siriano, per mezzo di una teoria contorta che in base all’articolo 51 dell’atto costitutivo dell’Onu permette a un membro di attaccare legalmente un altro Paese se quest’ultimo stia per attaccare il Paese membro.

Barack Obama e il governo degli Stati Uniti hanno fatto il loro meglio per confondere la realtà per mezzo di una serie di passi diversi intrapresi al fine di pretendere la legalità in un attacco contrario al diritto internazionale alla Siria, bombardandola senza l’autorizzazione di Damasco.

Sebbene l’ambasciatore Usa Samantha Powers abbia informato i rappresentanti permanenti della Siria all’Onu che bombardamenti a guida statunitensi sarebbero avvenuti nel governatorato di Raqqa, aver informato Bashar Al-Jaafari per mezzo di una notifica formale non equivale ad aver ottenuto un consenso legale da parte siriana.

Gli attacchi guidati dagli Stati Uniti alla Siria non sono appoggiati nemmeno dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Ma il governo Usa ha provato a imbastire, nell’incontro del 19 settembre 2014 all’Onu, la teoria secondo la quale John Kerry avrebbe siglato un accordo di cooperazione con il Consiglio di sicurezza dell’Onu riguardo la campagna di bombardamenti.

Nemmeno può essere una coincidenza il fatto che, quando gli Stati Uniti hanno riunito la coalizione internazionale per combattere l’Isil e il suo pseudo-califfato, John Kerry, convenientemente, abbia dichiarato che la Siria ha violato la Convenzione sulle armi chimiche (Cwc). Pur ammettendo che la Siria non ha utilizzato alcun materiale proibito dal Cwc, Kerry ha detto ai legislatori Usa che Damasco avrebbe infranto il suo impegno nei confronti del Cwc il 18 settembre 2014. In altre parole, Washington intende sovrapporsi alla Siria, e perseguire un regime change a Damasco. Se questo non bastasse, può bastare il fatto che gli Usa stiano utilizzando l’Arabia Saudita per addestrare ulteriori forze antigovernative [7].

Una strategia americana del rischio calcolato per giustificare una campagna di bombardamenti a guida statunitense sulla Siria è stata messa in atto con l’intento di creare un pretesto per estendere gli attacchi aerei illegali iniziati il 22 settembre 2014.

Ciò che gli Stati Uniti immaginano è una campagna di bombardamenti a lungo termine, che minacci pure il Libano e l’Iran. Secondo ‘Ali Al-Khamenei, gli Usa vogliono bombardare sia l’Iraq che la Siria usando l’Isil come cortina fumogena, sulla base del modello pakistano. Più correttamente, la situazione andrebbe chiamata modello AfPak. Gli Usa hanno usato lo straripamento dell’instabilità dall’Afghanistan al Pakistan, e il diffondersi dei Taliban come pretesto per bombardare il Pakistan. L’Iraq e la Siria si sono fusi in un’unica zona di guerra, che Ibrahim Al-Marashi, usando un neologismo, ha definito il sorgere di «Syraq».

L’obiettivo più vasto: arrestare l’integrazione eurasiatica

Mentre gli Stati Uniti fingono di combattere gli stessi terroristi e le stesse squadre della morte che hanno creato, i cinesi e i loro partner sono impegnati a lavorare per l’integrazione dell’Eurasia. La «guerra al terrore globale» americana va di pari passo con la ricostruzione della Via della Seta. Questa è la vera storia e il vero motivo dell’insistenza di Washington a combattere e rimobilitarsi in Medio Oriente. Ed è anche il motivo per cui gli Stati Uniti hanno spinto l’Ucraina a sfidare la Russia, e l’Unione Europea a sanzionare la Federazione russa.

L’America vuole arrestare il riemergere della Via della Seta e il suo commercio in espansione. Mentre Kerry è impegnato a spaventare il pubblico con l’Isil e le sue atrocità, i cinesi sono impegnati a stringere accordi attraverso l’Asia e l’Oceano indiano. Ciò rientra nella marcia verso occidente del drago cinese.

Mentre Kerry faceva i suoi viaggi, il presidente cinese Xi Jinping visitava lo Sri Lanka e le Maldive. Lo Sri Lanka fa già parte del progetto marittimo cinese della via della seta marittima. Le Maldive sono il nuovo partecipante, che si è aggiunto alla rete marittima della via della seta e alle infrastrutture che la Cina è impegnata a creare al fine di espandere il commercio marittimo tra l’Asia orientale, il Medio Oriente, l’Africa e l’Europa. E nemmeno è una coincidenza il fatto che due cacciatorpediniere cinesi abbiano attraccato nel porto iraniano di Bandar Abbas, nel Golfo persico, per condurre esercitazioni congiunte con navi da guerra iraniane nel Golfo persico.

Parallelamente al commercio oriente-occidente, una rete di commerci e trasporti nord-sud si sta sviluppando. Il presidente iraniano Hassan Rouhani ha viaggiato di recente in Kazakhistan, e con il suo omologo kazako, il presidente Nursultan Nazarbayev, ha confermato che il commercio sta per compiere svariati sviluppi. Il completamento della ferrovia tra Kazakhistan, Turkmenistan e Iran, che creerà una via di transito da nord a sud, è in lista d’attesa. La collaborazione tra Teheran e l’unione euroasiatica è stata anche al centro della conversazione tra i due presidenti. Si sta poi lavorando a un corridoio nord-sud sulla sponda occidentale del Mar Caspio, che corre dalla Russia all’Iran attraversando la repubblica dell’Azerbaijan.

Le sanzioni contro la Russia stanno cominciando a creare disagio nell’Unione Europea. Chi perde davvero per le sanzioni sono gli stessi Paesi membri dell’Unione. La Russia ha dimostrato di avere altre opzioni: Mosca ha già lanciato la costruzione del mega gasdotto Yakutia – da Khabarovsk a Vladivostok – noto anche come “La potenza della Siberia”, per portare il proprio gas naturale in Cina, mentre il partner dei Brics del Sudafrica ha firmato un accordo storico di energia nucleare con Rosatom.

L’influenza mondiale di Mosca è evidente, la sua influenza è in aumento in Medio Oriente e in Sud America. Anche nel presidio Nato dell’Afghanistan l’influenza russa è in crescita. Il governo russo ha recentemente compilato un elenco di oltre cento progetti di costruzione sovietici che intende recuperare.

Un’alternativa alle sanzioni degli Usa e dell’Ue sta iniziando a emergere in Eurasia. Oltre all’accordo Petrolio per beni firmato da Teheran e Mosca, il ministro dell’Energia russo Alexander Novak ha annunciato che l’Iran e la Russia ha annunciato che Iran e Russia hanno fatto molti nuovi accordi del valore di miliardi di dollari. Le sanzioni ben presto isoleranno gli Stati Uniti e l’Unione europea. Gli iraniani hanno inoltre annunciato di star lavorando con i partner cinesi e russi per aggirare le sanzioni Usa e Eu.

L’America è ripiegata su se stessa, e non potrà fare perno sull’area asiatico-pacifica fino a quando non sarà appianata la situazione in Medio Oriente e in Europa orientale contro i russi, gli iraniani, i siriani e i loro alleati. Per questo Washington sta cercando di fare il suo meglio per disturbare, dividere, ridisegnare, contrattare e cooptare. Se si tratta dell’Isil, che ha servito gli interessi statunitensi in Medio Oriente, gli Usa non sono interessati a combatterlo. Le principali preoccupazioni degli Usa sono la conservazione del proprio impero che si sta sgretolando e la prevenzione dell’integrazione eurasiatica.

NOTES

[1] Mahdi Darius Nazemroaya, «America pursuing regime change in Iraq again», RT, June 20, 2014.
[2] Mahdi Darius Nazemroaya, «The Syria Endgame: Strategic Stage in the Pentagon’s Covert War on Iran», Global Research, January 07, 2013.
[3] Scott Peterson, «Iranian group’s big-money push to get off US terrorist list», Christian Science Monitor, August 8, 2011.
[4] Ibid.
[5] Ibid.
[6] Ibid.
[7] Matt Spetalnick, Jeff Mason and Julia Edwards, «Saudi Arabia agrees to host training of moderate Syria rebels», Caren Bohan, Grant McCool, and Eric Walsh eds. Reuters, September 10, 2014.

Traduzione di Stefano Di Felice.



Articles Par : Mahdi Darius Nazemroaya

A propos :

An award-winning author and geopolitical analyst, Mahdi Darius Nazemroaya is the author of The Globalization of NATO (Clarity Press) and a forthcoming book The War on Libya and the Re-Colonization of Africa. He has also contributed to several other books ranging from cultural critique to international relations. He is a Sociologist and Research Associate at the Centre for Research on Globalization (CRG), a contributor at the Strategic Culture Foundation (SCF), Moscow, and a member of the Scientific Committee of Geopolitica, Italy.

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