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I portabandiera della libertà
Par Manlio Dinucci
Mondialisation.ca, 20 janvier 2015
ilmanifesto.info
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Ha fir­mato il libro delle con­do­glianze per le vit­time dell’attacco ter­ro­ri­stico alla reda­zione di Char­lie Hebdo e, defi­nen­dolo «un oltrag­gioso attacco alla libertà di stampa», ha dichia­rato che «il ter­ro­ri­smo in tutte le sue forme non può essere mai tol­le­rato né giustificato».

Parole giu­ste se non fos­sero state pro­nun­ciate da Jens Stol­ten­berg, segre­ta­rio gene­rale della Nato, l’organizzazione mili­tare che usa come meto­dico stru­mento di guerra l’attacco ter­ro­ri­stico con­tro le reda­zioni radiotelevisive.

Quello con­tro la radio­te­le­vi­sione serba a Bel­grado, col­pita da un mis­sile Nato il 23 aprile 1999, pro­vocò la morte di 16 gior­na­li­sti e tecnici.

Lo stesso ha fatto la Nato nella guerra di Libia, bom­bar­dando nel 2011 la radio­te­le­vi­sione di Tripoli.

Lo stesso nella guerra di Siria, quando nell’estate 2012 com­bat­tenti adde­strati e armati dalla Cia (negli stessi campi da cui sem­bra pro­ven­gano gli atten­ta­tori di Parigi) hanno attac­cato sta­zioni tele­vi­sive ad Aleppo e Dama­sco, ucci­dendo una decina di gior­na­li­sti e tecnici.

Su que­sti attac­chi ter­ro­ri­stici è calato in Occi­dente un quasi totale silen­zio media­tico, e pra­ti­ca­mente nes­suno è sceso in piazza con le foto e i nomi delle vit­time. All’attentato con­tro Char­lie Hebdo è stata invece data una riso­nanza media­tica mondiale.

E, facendo leva sul natu­rale sen­ti­mento di con­danna per l’attentato e di cor­do­glio per le vit­time, Char­lie Hebdo è stato assunto da un vasto arco poli­tico a sim­bolo di lotta per la libertà. Igno­rando il discu­ti­bile ruolo di que­sta rivi­sta che, con le sue vignette «dis­sa­cranti», si col­lo­che­rebbe «alla sini­stra della sinistra».

Nel 1999 il diret­tore di Char­lie Hebdo, Phi­lippe Val, sostiene con una serie di edi­to­riali e vignette la guerra Nato con­tro la Jugo­sla­via, para­go­nando Milo­se­vic a Hitler e accu­sando i serbi di com­piere in Kosovo dei «pogrom» simili a quelli nazi­sti con­tro gli ebrei.

Stessa linea nel 2011 quando Char­lie Hebdo (pur non essen­doci più Phi­lippe Val alla dire­zione) con­tri­bui­sce a giu­sti­fi­care la guerra Nato con­tro la Libia, dipin­gendo Ghed­dafi come un feroce dit­ta­tore che schiac­cia sotto gli sti­vali il suo popolo e fa il bagno in una vasca piena di sangue.

Stessa linea dal 2012 nei con­fronti della Siria quando Char­lie Hebdo, rap­pre­sen­tando il pre­si­dente Assad come un cinico dit­ta­tore che schiac­cia donne e bam­bini sotto i cin­goli dei suoi car­rar­mati, con­tri­bui­sce a giu­sti­fi­care l’operazione mili­tare Usa/Nato.

In tale qua­dro si inse­ri­sce la serie di vignette con cui la rivi­sta ridi­co­lizza Maometto.

Anche se essa fa satira allo stesso tempo su altre reli­gioni, le vignette su Mao­metto equi­val­gono ad altret­tante tani­che di ben­zina get­tate sul ter­reno già infuo­cato del mondo arabo e musul­mano. E appa­iono ancora più odiose agli occhi di grandi masse isla­mi­che per­ché a ridi­co­liz­zare la loro reli­gione e la loro cul­tura sono degli intel­let­tuali pari­gini, imme­mori del fatto che la Fran­cia assog­gettò al suo domi­nio colo­niale interi popoli, non solo sfrut­tan­doli e mas­sa­cran­doli (solo in Alge­ria oltre un milione di morti), ma impo­nendo loro la pro­pria lin­gua e cul­tura. Poli­tica che Parigi pro­se­gue oggi in forme neocoloniali.

Non c’è quindi da stu­pirsi se, nel mondo arabo e musul­mano che ha in mag­gio­ranza con­dan­nato gli attac­chi ter­ro­ri­stici di Parigi, dila­gano le pro­te­ste con­tro Char­lie Hebdo.

A coloro che in Occi­dente ne fanno la ban­diera della «libertà di stampa», va chie­sto: che cosa fare­ste se tro­va­ste affisse per strada vignette porno su vostro padre e vostra madre? Non vi arrab­bie­re­ste, non la defi­ni­re­ste una pro­vo­ca­zione? Non pen­se­re­ste che die­tro c’è la mano di qual­cuno che cerca di aprire una guerra con voi?

Manlio Dinucci,  

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