Il movimento di protesta in Egitto: i “dittatori” non dettano, obbediscono agli ordini

Il regime di Mubarak potrebbe crollare di fronte al movimento di protesta nazionale… Quali prospettive per l’Egitto e il mondo arabo?

I “Dittatori” non dettano, obbediscono agli ordini. Questo è vero in Egitto, Tunisia e Algeria. I dittatori sono sempre dei burattini politici. I dittatori non decidono. Il presidente Hosni Mubarak è stato un fedele servitore degli interessi economici occidentali e così lo è stato Ben Ali. Il governo nazionale è l’oggetto del movimento di protesta. L’obiettivo è quello di spodestare il burattino, piuttosto che il burattinaio.

Gli slogan in Egitto sono “Abbasso Mubarak, abbasso il regime“. Nessun manifesto anti-USA è stato segnalato… L’imperante e distruttiva influenza degli Stati Uniti in Egitto e in tutto il Medio Oriente resta ignorata. Le potenze straniere che operano dietro le quinte sono schermata dal movimento di protesta. Nessun significativo cambiamento politico si verificherà, a meno che il problema dell’interferenza straniera non è significativamente affrontato dal movimento di protesta. L’ambasciata statunitense al Cairo è un soggetto politico importante, che sempre mette in ombra il governo nazionale. L’ambasciata non è un obiettivo del movimento di protesta.

In Egitto, il devastante programma del FMI è stato istituito nel 1991 al culmine della Guerra del Golfo. Fu negoziato in cambio dell’annullamento del debito militare  di molti miliardi di dollari dell’Egitto verso gli Stati Uniti, così come della sua partecipazione alla guerra. La risultante deregolamentazione dei prezzi alimentari, la spiazzante privatizzazione e le massicce misure di austerità, hanno portato a un impoverimento della popolazione egiziana e alla destabilizzazione della sua economia. Il governo di Mubarak è stato elogiato come un “allievo modello del FMI“.

Il ruolo del governo di Ben Ali in Tunisia è stato quello di far rispettare la mortale medicina economica del FMI, che in un periodo di oltre venti anni è servita a destabilizzare l’economia nazionale e a impoverire la popolazione tunisina. Nel corso degli ultimi 23 anni, la politica economica e sociale della Tunisia è stata dettata dal “Consenso di Washington”. Sia Hosni Mubarak che Ben Ali sono rimasti al potere perché i loro governi hanno obbedito ed hanno effettivamente applicato i diktat del FMI. Da Pinochet e Videla a Baby Doc, Ben Ali e Mubarak, sono dittatori installati da Washington. Storicamente, in America Latina, i dittatori sono stati insediato attraverso una serie di colpi di stato militari sponsorizzati dagli statunitensi. Nel mondo di oggi, vengono installati attraverso “giuste e libere elezioni”, sotto la sorveglianza della “comunità internazionale“.

Il nostro messaggio al movimento di protesta:

Le decisioni operative sono prese a Washington DC, presso il Dipartimento di Stato americano, il Pentagono e Langley, il quartier generale della CIA, e a H Street NW, il quartier generale della Banca Mondiale e del FMI. Il rapporto tra il “dittatore” e gli interessi stranieri deve essere affrontato. Spodestate i burattini politici, ma non dimenticate di prendere di mira i “dittatori reali“. Il movimento di protesta dovrebbe concentrarsi sulla sede reale dell’autorità politica, devono avere come obiettivo l’ambasciata statunitense, la delegazione dell’Unione europea, le rappresentanze nazionali del FMI e della Banca mondiale. Un cambiamento politico incisivo può essere garantito solo se la politica economica neoliberista è rigettata.

Cambio di regime

Se il movimento di protesta non riesce ad affrontare il ruolo delle potenze straniere, tra cui le pressioni esercitate dagli “investitori“, i creditori esteri e le istituzioni finanziarie internazionali, l’obiettivo della sovranità nazionale non sarà raggiunto. Nel qual caso, ciò che accadrà sarà un processo ristretto di “sostituzione del regime“, che assicurerà la continuità politica. I “dittatori” sono insediati e spodestato. Quando sono politicamente screditati e non servono più gli interessi dei loro sponsor USA, vengono sostituiti da nuovi leader, spesso reclutati tra le fila dell’opposizione politica.

In Tunisia, l’amministrazione Obama si è già posizionata. Essa intende svolgere un ruolo chiave nel programma di “democratizzazione” (cioè lo svolgimento di cosiddette elezioni regolari). Essa intende anche usare la crisi politica come un mezzo per indebolire il ruolo della Francia e consolidare la sua posizione in Nord Africa:

“Gli Stati Uniti, che si sono affrettati a saltare sul carro dell’ondata di proteste per le strade della Tunisia, sta cercando di spingere a suo vantaggio le riforme democratiche nel paese, e non solo. L’alto inviato USA per il Medio Oriente, Jeffrey Feltman, è stato il primo funzionario straniero ad arrivare nel Paese, dopo che il presidente Zine El Abidine Ben Ali era stato estromesso il 14 gennaio e ha subito chiesto riforme. Ha detto che solo libere ed eque elezioni consolideranno e daranno credibilità all’impegnata leadership dello stato nordafricano. “Mi aspetto di certo che utilizzeremo l’esempio della Tunisia” nei colloqui con altri governi arabi, ha aggiunto l’Assistente del Segretario di Stato Feltman. È stato spedito nel paese nordafricano dagli Stati Uniti per offrire aiuto nella turbolenta transizione del potere, e si è incontrato con i ministri e figure della società civile tunisini. Feltman è andato a Parigi per discutere della crisi con i dirigenti francesi, favorendo l’impressione che gli Stati Uniti stessero portando sostegno internazionale a una nuova Tunisia, a scapito della sua ex potenza coloniale, la Francia. …

Le nazioni occidentali hanno a lungo sostenuto la leadership estromessa della Tunisia, vista come un baluardo contro i militanti islamici nella regione del Nord Africa. Nel 2006, l’allora Segretario alla Difesa statunitense Donald Rumsfeld, parlando a Tunisi, ha lodato l’evoluzione del paese. La Segretaria di Stato statunitense Hillary Clinton, era agilmente intervenuta con un discorso a Doha il 13 gennaio, avvisando i leader arabi di concedere ai cittadini una maggiore libertà o avrebbero rischiato che gli estremisti sfruttassero la situazione. “Non c’è dubbio che gli Stati Uniti stanno cercando di posizionarsi molto rapidamente sul lato buono…” AFP: Gli USA aiutano l’esito forma della rivolta tunisina.

Washington avrà successo nell’insediare un nuovo regime-fantoccio?

Molto dipende dalla capacità del movimento di protesta nell’affrontare il ruolo insidioso degli Stati Uniti negli affari interni del paese. I predominanti poteri  dell’impero non sono menzionati. In una amara ironia, il presidente Obama ha espresso il suo sostegno al movimento di protesta. Molte persone all’interno del movimento di protesta sono portate a credere che il presidente Obama sia impegnato per i diritti umani e la democrazia, e sia favorevole a che l’opposizione spodesti il dittatore, che è stato insediato proprio dagli USA.

La cooptazione dei leader dei principali partiti di opposizione e delle organizzazioni della società civile, in previsione del crollo di un governo fantoccio autoritario, è parte dei piani di Washington, applicati in diverse regioni del mondo.

Il processo di cooptazione è attuato e finanziato da fondazioni basate negli USA, tra cui il National Endowment for Democracy (NED) e la Freedom House (FH). Sia FH che NED hanno legami con il Congresso degli Stati Uniti, col Council on Foreign Relations (CFR) e il mondo degli affari degli Stati Uniti. Sia la NED che FH sono note per avere legami con la CIA. La NED è attivamente coinvolta in Tunisia, Egitto e Algeria. Freedom House supporta diverse organizzazioni della società civile in Egitto.

“La NED è stata istituita dall’amministrazione Reagan dopo che il ruolo della CIA di finanziamento segreti  per rovesciare dei governi stranieri fu portato alla luce, screditando  movimenti, partiti, riviste, libri, giornali e gli individui che avevano ricevuto finanziamenti dalla CIA. … Come dotazione bipartisan, con la partecipazione dei due grandi partiti, così come dell’AFL-CIO e della Camera di Commercio degli Stati Uniti, la NED ha assunto il finanziamento da riversare ai movimenti stranieri, ma apertamente e sotto la rubrica della “promozione della democrazia“”. (Stephen Gowans, Gennaio 2011 “What’s left“)

Mentre gli Stati Uniti hanno sostenuto il governo di Mubarak negli ultimi trent’anni, le fondazioni degli Stati Uniti che hanno legami con il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti e il Pentagono, hanno sostenuto attivamente l’opposizione politica tra cui il movimento della società civile. Secondo Freedom House: “la società civile è sia vivace che vincolata. Ci sono centinaia di organizzazioni non-governative Egiziane destinate ad ampliare i diritti civili e politici nel paese, che operano in un ambiente altamente regolamentato.” (Freedom House Press Releases).

Con amara ironia, Washington sostiene la dittatura di Mubarak, comprese le sue atrocità, mentre anche il sostegno e il finanziamento dei suoi oppositori, avviene attraverso le attività di FH e della NED, tra gli altri. Sotto gli auspici della Freedom House, i dissidenti e gli oppositori egiziani di Hosni Mubarak, sono stati ricevuti nel maggio 2008 da Condoleezza Rice al Dipartimento di Stato e al Congresso degli Stati Uniti. Hanno anche incontrato alla Casa Bianca il Consigliere alla Sicurezza Nazionale Stephen Hadley, che fu “il principale consigliere di politica estera di George W. Bush, alla Casa Bianca, durante il suo secondo mandato. Gli sforzi di Freedom House di rafforzare una nuova generazione di sostenitori, ha prodotto risultati concreti e il programma della nuova generazione in Egitto ha ottenuto preminenza sia a livello locale che internazionale. I borsisti egiziani in visita, da tutti i gruppi della società civile, hanno ricevuto [nel maggio 2008] attenzione e riconoscimento senza precedenti, comprese le riunioni a Washington con il segretaria di stato statunitense, il consigliere per la Sicurezza Nazionale, e importanti membri del Congresso. Nelle parole di Condoleezza Rice, i borsisti rappresentano la “speranza per il futuro dell’Egitto”.”
Freedom House.

Il doppio discorso politico: conversare con “dittatori“, Confondersi con “dissidenti”

La delegazione pro-democrazia egiziana al Dipartimento di Stato è stata descritto da Condoleezza Rice come “La speranza per il futuro dell’Egitto“. Nel maggio del 2009, Hillary Clinton ha incontrato una delegazione di dissidenti egiziani, molti dei quali avevano incontrato Condoleezza Rice un anno prima. Tali riunioni ad alto livello si sono svolti una settimana prima della visita di Obama in Egitto:

La Segretaria di Stato USA Hillary Clinton ha elogiato il lavoro di un gruppo di attivisti della società civile egiziana che ha incontrato oggi, e ha detto che aveva interesse a che l’Egitto si muovesse verso la democrazia e esprimesse più rispetto per i diritti umani. I 16 attivisti hanno incontrato la Clinton e, in seguito, l’assistente della Segretaria di Stato per gli Affari del Vicino Oriente, Jeffrey Feltman, a Washington, al termine di una borsa di studio di due mesi organizzata dal programma New Generation di Freedom House.

I borsisti hanno sollevato preoccupazioni su ciò che essi percepiscono la presa di distanze del governo degli Stati Uniti dalla società civile egiziana e hanno invitato il presidente Obama a incontrare i giovani attivisti della società civile indipendente, durante la sua visita al Cairo, la settimana prossima. Essi hanno inoltre esortato l’amministrazione Obama a continuare a fornire sostegno politico e finanziario alla società civile egiziana e a contribuire ad aprire lo spazio per le organizzazioni non governative, che è strettamente limitato ai sensi della permanente legge di emergenza dell’Egitto.

I borsisti hanno detto alla Clinton che il momento era già pronto in Egitto, per maggiori diritti umani e civili e che il sostegno degli Stati Uniti in questo momento, è urgentemente necessario. Hanno sottolineato che la società civile rappresenta una moderata e pacifica “terza via” in Egitto, in alternativa agli elementi autoritari del governo e a coloro che sposano il governo teocratico. (Freedom House, maggio 2009)

Durante la loro borsa, gli attivisti hanno trascorso una settimana a Washington, ricevendo una formazione nella difesa penale e civile e dando uno sguardo sul funzionamento della democrazia degli degli Stati Uniti. Dopo la loro formazione, i borsisti sono stati affidati a organizzazioni della società civile di tutto il paese, condividendo esperienze con i colleghi statunitensi. Gli attivisti concluderanno il loro programma … visitando i funzionari del governo degli Stati Uniti, i membri del Congresso, i media e i think tanks.” (Freedom House, maggio 2009.)

Questi  gruppi di opposizione della società civile – che attualmente giocano un ruolo importante nel movimento di protesta – sono sostenuti e finanziati dagli Stati Uniti. Inevitabilmente serviranno gli interessi degli Stati Uniti.

L’invito dei dissidenti egiziani al Dipartimento di Stato e al Congresso degli Stati Uniti, pretende anche di infondere un senso di impegno e di fedeltà ai valori democratici statunitensi. Gli USA sono presentati come un modello di libertà e giustizia. Obama è accolto come un “Modello da seguire“.


Dissidenti egiziani, borsisti di Freedom House a Washington DC (2008)


La segretaria di Stato USA Hillary Clinton parla agli “attivisti egiziani in visita che promuovono la libertà e la democrazia, attraverso l’organizzazione Freedom House, prima delle riunioni al Dipartimento di Stato a Washington DC, 28 maggio 2009“. Confrontate le due immagini della delegazione ricevuta nel 2008 da Condoleezza Rice con quella della delegazione che incontra Hillary Clinton nel maggio 2009.


Hillary Clinton e Hosni Mubarak a Sharm el Sheik, settembre 2010


Condoleezza Rice chiacchiera con Hosni Mubarak? “La speranza per il futuro dell’Egitto“.


Condoleezza Rice s’indirizza alla Freedom House. Quarta da sinistra.

I pupari supportano il movimento di protesta contro i loro stessi pupi

I pupari supportano il dissenso contro i loro burattini? È chiamato “effetto della leva politica“, “fabbricazione del dissenso“. Sostenere il dittatore e gli oppositori del dittatore come un mezzo per controllare l’opposizione politica.  Queste azioni da parte di Freedom House e del National Endowment for Democracy, a nome delle amministrazioni Bush e Obama, assicurano che l’opposizione della società civile finanziata dagli Stati Uniti non riesca a dirigere le proprie energie contro i pupari dietro il regime di Mubarak, e cioè il governo degli Stati Uniti. Queste organizzazioni della società civile finanziate dagli statunitensi, agiscono come un “cavallo di Troia“, quando vengono incorporate all’interno del movimento di protesta. Esse proteggono gli interessi dei padroni del burattino. Assicurano che il movimento di protesta popolare non affronti la questione più ampia dell’ingerenza straniera negli affari degli stati sovrani.

Twitter, Facebook e Bloggers sostenuti e finanziati da Washington

In relazione al movimento di protesta in Egitto, alcuni gruppi della società civile finanziati da fondazioni basate negli USA, hanno portato la protesta su Twitter e Facebook:

“Attivisti del movimento Kifaya (Basta) dell’Egitto – una coalizione di oppositori del governo – il Movimento Giovanile del 6 aprile hanno organizzato le proteste su Facebook, Twitter e sul web. Il social networking e le notizie occidentali ha detto che Twitter sembra essere bloccato in Egitto da Martedì.” (Voice of America, Egypt Rocked by Deadly Anti-Government Protests).


Kifaya (Basta!)

Il movimento Kifaya, che ha organizzato una delle prime azioni dirette contro il regime di Mubarak alla fine del 2004, è sostenuto dalla Centro Internazionale per i conflitti non-violenti con sede negli Stati Uniti. Kifaya è ampio movimento che ha anche preso posizione sulla Palestina e sull’interventismo USA nella regione. A sua volta, Freedom House è stata coinvolta nella promozione e nella formazione di Facebook, Twitter e blog in Medio Oriente e Nord Africa:

“Borsisti di Freedom House hanno acquisito competenze nella mobilitazione civica, leadership e pianificazione strategica e beneficiano delle opportunità del networking, attraverso l’interazione con dei donatori, organizzazioni internazionali e media basati a Washington. Dopo il ritorno in Egitto, i borsisti hanno ricevuto piccole sovvenzioni destinate a realizzare iniziative innovative, come sostenere le riforme politiche su Facebook e gli SMS.”
Freedom House

Dal 27 Febbraio al 13 Marzo [2010], la Freedom House ha ospitato 11 blogger provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa [di diverse organizzazioni della società civile] per l’Advanced New Media Study Tour di due settimane a Washington DC. Il Tour si studi ha fornito ai blogger addestramento nella sicurezza digitale, produzione di video digitali, sviluppo dei messaggi e cartografia digitale. Mentre a Washington DC, i borsisti hanno anche partecipato ad un briefing al Senato, e si sono incontrato con funzionari di alto livello dell’USAID, del [Dipartimento] di Stato e del Congresso, così come con i media internazionali tra cui Al-Jazeera e il Washington Post.
Freedom House

Si può facilmente comprendere l’importanza che l’amministrazione statunitense ha dato a questo “programma di formazione” per blogger, che è stato accoppiato a riunioni ad alto livello presso il Senato, il Congresso, il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, ecc. Il ruolo dei social media Facebook e Twitter, come espressione del dissenso, deve essere attentamente valutato alla luce dei legami delle diverse organizzazioni della società civile egiziane con Freedom House (FH), National Endowment for Democracy (NED) e il Dipartimento di Stato USA. BBC World News (trasmesso in Medio Oriente), citando dei messaggi su internet egiziani, ha riferito che “gli Stati Uniti ha inviato denaro ai gruppi pro-democrazia“. (BBC World News, 29 gennaio 2010). Secondo un articolo del Daily Telegraph, citando un documento segreto dell’ambasciata USA (29 Gen 2011):

“Le proteste in Egitto sono state guidati dal movimento giovanile 6 aprile, un gruppo su Facebook che ha attirato giovani e membri istruiti principalmente contro Mubarak. Il gruppo conta circa 70.000 soci e utilizza siti del social networking per orchestrare le proteste e riferire sulle loro attività. I documenti rilasciati da Wikileaks rivelano che funzionari dell’ambasciata degli Stati Uniti [al Cairo] erano in regolare contatto con gli attivisti per tutto il 2008 e il 2009, considerandoli come una delle loro fonti più attendibili per le informazioni sulle violazioni dei diritti umani.”

I Fratelli Musulmani

I Fratelli Musulmani in Egitto rappresentano il segmento più importante dell’opposizione al presidente Mubarak. Secondo i rapporti, i Fratelli Musulmani dominano il movimento di protesta. Mentre vi è un divieto costituzionale contro i partiti politici religiosi, i membri della Fratellanza eletti al parlamento di Egitto come “indipendenti” rappresentano il più vasto blocco parlamentare. La Fratellanza, tuttavia, non costituisce una minaccia diretta agli interessi strategici ed economici di Washington nella regione. La agenzie di intelligence occidentali hanno una lunga storia di collaborazione con la Fratellanza. Il sostegno strumentale da parte della Gran Bretagna della Confraternita, attraverso il Servizio Segreto britannico, risale agli anni ‘40. A partire dagli anni ‘50, secondo l’ex funzionario dell’intelligence William Baer, “La CIA [incanalò] il sostegno ai Fratelli Musulmani a causa della lodevole capacità della Confraternita nel poter rovesciare Nasser“. 1954-1970: CIA and the Muslim Brotherhood Ally to Oppose Egyptian President Nasser. Questi collegamenti sotto copertura della CIA sono state mantenuti nel periodo post-Nasser.

Considerazioni conclusive

La rimozione di Hosni Mubarak è da diversi anni sul tavolo da disegno della politica estera degli Stati Uniti. La sostituzione del regime serve a garantire la continuità, pur fornendo l’illusione che un cambiamento politico significativo si è verificato. L’agenda di Washington per l’Egitto è quella di “dirottare il movimento di protesta” e sostituire il presidente Hosni Mubarak con un compiacente nuovo capo di stato fantoccio. L’obiettivo di Washington è quello di sostenere gli interessi delle potenze straniere, di sostenere l’economia neoliberista, che è servita a impoverire la popolazione egiziana. Dal punto di vista di Washington, la sostituzione del regime non richiede più l’installazione di un regime militare autoritario, come nel periodo di massimo splendore dell’imperialismo degli Stati Uniti, ma può essere attuata cooptando i partiti politici, tra cui la sinistra, col finanziamento dei gruppi della società civile, infiltrando il movimento di protesta e con la manipolazione delle elezioni nazionali. Con riferimento al movimento di protesta in Egitto, il presidente Obama ha dichiarato, in una trasmissione video del 28 gennaio su Youtube: “Il governo non deve ricorrere alla violenza“. La domanda fondamentale è: qual è la fonte di questa violenza? L’Egitto è il maggior beneficiario degli aiuti militari statunitensi dopo Israele. L’esercito egiziano è considerato la base del potere del regime di Mubarak:

“L’esercito e le forze di polizia del paese sono armate fino ai denti grazie a più di 1 miliardo di dollari in aiuti militari, in un anno, da parte di Washington…. Quando gli Stati Uniti si descrivono ufficialmente come “l’alleato più importante” dell’Egitto, fanno inavvertitamente riferimento al ruolo di Mubarak come avamposto delle operazioni militari degli Stati Uniti e della loro guerra sporca in Medio Oriente, e oltre. E’ evidente presso i gruppi internazionali per i diritti umani, che innumerevoli “sospetti” catturati dalle forze statunitensi, nei diversi territori delle loro (criminali) operazioni, vengano consegnati segretamente all’Egitto, per degli “interrogatori approfonditi”. Il paese serve come una gigantesca “Guantanamo” del Medio Oriente, opportunamente obliterata dall’interesse del pubblico USA, e nascosta da sottigliezze giuridiche sui diritti umani“. (Finian Cunningham, Egypt: US-Backed Repression is Insight for American Public, Global Research, 28 gennaio 2010).

Gli USA non sono l’”esempio” della democratizzazione del Medio Oriente. La presenza militare statunitense imposta all’Egitto e al mondo arabo da più di 20 anni, accoppiata alle riforme del “libero mercato“, sono la causa principale della violenza di Stato. Gli USA intendono utilizzare il movimento di protesta per installare un nuovo regime. Il movimento popolare dovrebbe reindirizzare le proprie energie: identificare il rapporto tra gli USA e “il dittatore“.  Sloggino i politici fantoccio degli USA, ma non dimentichino di puntare sui  “veri dittatori“.

Bloccare il processo di cambiamento di regime. Smantellare le riforme neoliberiste. Chiudere le basi militari USA nel mondo arabo. Stabilire un governo che sia davvero sovrano.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – Aurora03.da.ru



Articles Par : Prof Michel Chossudovsky

A propos :

Michel Chossudovsky is an award-winning author, Professor of Economics (emeritus) at the University of Ottawa, Founder and Director of the Centre for Research on Globalization (CRG), Montreal, Editor of Global Research.  He has taught as visiting professor in Western Europe, Southeast Asia, the Pacific and Latin America. He has served as economic adviser to governments of developing countries and has acted as a consultant for several international organizations. He is the author of eleven books including The Globalization of Poverty and The New World Order (2003), America’s “War on Terrorism” (2005), The Global Economic Crisis, The Great Depression of the Twenty-first Century (2009) (Editor), Towards a World War III Scenario: The Dangers of Nuclear War (2011), The Globalization of War, America's Long War against Humanity (2015). He is a contributor to the Encyclopaedia Britannica.  His writings have been published in more than twenty languages. In 2014, he was awarded the Gold Medal for Merit of the Republic of Serbia for his writings on NATO's war of aggression against Yugoslavia. He can be reached at [email protected] Michel Chossudovsky est un auteur primé, professeur d’économie (émérite) à l’Université d’Ottawa, fondateur et directeur du Centre de recherche sur la mondialisation (CRM) de Montréal, rédacteur en chef de Global Research.

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